Licenziamento e compiuta giacenza della raccomandata: la sentenza della Cassazione

Licenziamento e compiuta giacenza della raccomandata: la sentenza della Cassazione

Con la sentenza 15397/2023, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla validità della compiuta giacenza della raccomandata ai fini del licenziamento, respingendo il ricorso di una lavoratrice in seguito alla decisione dei giudici di ritenere decaduto il potere di impugnazione del suo licenziamento entro 60 giorni dalla notifica dello stesso.

Cosa dice il codice civile sulla comunicazione del licenziamento?

Per meglio comprendere il motivo del ricorso e del conseguente rigetto, è importante ricordare che la lettera di licenziamento ha natura di atto unilaterale recettizio e, in quanto tale, secondo il codice civile, “produce effetto dal momento in cui perviene a conoscenza della persona a cui è destinata“.

All’art. 1335, inoltre, si precisa che gli atti unilaterali indirizzati a uno specifico destinatario sono da considerarsi conosciuti nel momento stesso in cui giungono all’indirizzo del destinatario, a esclusione dei casi in cui quest’ultimo sia in grado di provare di essere stato impossibilitato, senza sua colpa, a riceverne notizia.

I motivi della sentenza

Nel caso della lavoratrice, i giudici hanno giudicato valida la comunicazione di licenziamento avvenuta per compiuta giacenza della raccomandata al domicilio della lavoratrice, nonostante il datore di lavoro non avesse presentato in giudizio la copia dell’avviso di ricevimento immesso nella cassetta postale.

La Corte d’appello e, successivamente, la Corte di cassazione, hanno infatti ritenuto che la ricevuta di invio della raccomandata e le schede informative correlate possano considerarsi prova idonea a fondare la presunzione di conoscenza della lettera di licenziamento, e che la dichiarazione della lavoratrice di non aver mai ricevuto l’avviso di giacenza non sia sufficiente a negare tale presunzione.

La decisione della corte è dovuta al fatto che il datore di lavoro ha documentato in giudizio tutte le attività svolte dall’agente postale incaricato, mentre la lavoratrice non ha potuto fornire la prova della mancata ricezione della comunicazione, essendo quest’ultima pervenuta all’indirizzo indicato dalla lavoratrice stessa.

Vi è da sottolineare che la sentenza avrebbe avuto esito differente se il datore di lavoro non fosse stato in grado di produrre l’avviso di ricevimento o altra documentazione provante l’avvenuta consegna della raccomandata di licenziamento al lavoratore.

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