Patto di stabilità: cos’è e quali clausole prevede

Patto di stabilità: cos’è e quali clausole prevede

Cos’è il patto di stabilità?

Il patto di stabilità è un atto di natura pattizia (scrittura privata) stipulato tra datore di lavoro e lavoratore, con il quale si vincola il lavoratore a restare in azienda per un determinato periodo di tempo.

È un patto a prestazioni corrispettive e, se da una parte il lavoratore si vincola a restare in azienda, dall’altra è necessario che il datore versi un corrispettivo a fronte di questo impegno, che può consistere anche nell’attuazione di un percorso formativo a carico del datore di lavoro.

Al di fuori della formazione obbligatoria e contrattuale, per le quali l’adempimento formativo deriva da un obbligo di legge o dal contratto collettivo, per un datore di lavoro che investe molto sulla formazione condivisa/concordata dei propri collaboratori, si può porre l’esigenza di recuperare e ammortizzare i costi legati alla loro formazione da un punto di vista organizzativo.

Clausole facoltative

Con tali clausole, si stabilisce tra le parti che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato avrà una durata minima durante la quale le parti non potranno recedere (salvo l’ipotesi della giusta causa).

Secondo la giurisprudenza, queste clausole possono essere sottoscritte all’atto dell’assunzione o anche in un momento successivo e sono legittime a condizione che:

  • vincolino in egual misura anche il potere di recesso datoriale (entrambe le parti per la durata concordata non possono recedere dal rapporto);
  • vincolino solo il lavoratore ma rinvengano un corrispettivo nella natura della prestazione o in particolari investimenti economici e/o formativi del datore di lavoro;
  • il “corrispettivo” economico spettante al lavoratore possa essere individuato nella formazione finanziata dal proprio datore di lavoro.

Tali clausole possono essere utilizzate se accompagnate dalla previsione dell’obbligo, a carico del lavoratore, di rimborsare il datore di lavoro dei costi della formazione sostenuta in caso di recesso anticipato.

Elementi fondamentali della clausola

Al momento della sottoscrizione dell’accordo che prevede la clausola di stabilità per un lavoratore inserito in un percorso formativo, si dovrà prestare attenzione a:

  • giustificare l’impegno assunto dal lavoratore, ponendolo in relazione agli oneri sostenuti dal datore di lavoro per la formazione;
  • fissare la data prima della quale il lavoratore non potrà recedere, salvo il caso di giusta causa di dimissioni (2119 c.c.);
  • prevedere l’obbligo del lavoratore, in caso di recesso anticipato, di corrispondere al datore di lavoro, a titolo di risarcimento, una somma corrispondente al costo sostenuto (e documentabile) per la formazione, salvo il maggior danno; l’importo potrebbe essere fissato in misura decrescente in relazione alla durata del rapporto di lavoro;
  • far sottoscrivere la clausola.

La Cassazione, con la sentenza 26 ottobre 2016, n. 21646 della sezione lavoro ha sancito il principio che «il lavoratore subordinato, come ha facoltà di disporre liberamente del proprio diritto di recedere dal rapporto di lavoro (v. Cass. n. 17010/2014; Cass. n. 17817/2005), così può liberamente concordare una durata minima del rapporto stesso, che comporti, fuori dell’ipotesi di giusta causa di recesso di cui all’art. 2119 c.c., il risarcimento del danno a favore della parte non recedente, conseguente al mancato rispetto del suddetto periodo minimo di durata».

Condizione essenziale è che il rapporto di lavoro sia a tempo indeterminato, poiché l’apposizione di un ulteriore termine al contratto a termine non è chiaramente possibile.

La sentenza del Tribunale di Velletri

In questo contesto, il tribunale di Velletri (Tribunale Velletri, 21 febbraio 2017, n. 305) ha affrontato una questione interessante che riguarda il patto di stabilità.

Si tratta di una sentenza che si muove nel solco di una consolidata giurisprudenza, e ammette la possibilità per le parti di stipulare dei contratti di durata minima garantita.

La particolarità del caso consiste nel fatto che solamente il lavoratore aveva assunto l’impegno previsto dal patto di stabilità, oltre che nella durata del patto (cinque anni) e nell’importo della penale posta a carico del lavoratore in caso di anticipata risoluzione del rapporto (12.000 euro).

Il quesito posto dal giudice è quindi il seguente: un simile accordo può rispondere ai criteri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto?

L’esito della sentenza

La conclusione a cui è giunto il tribunale è che il patto possa essere ritenuto legittimo ove l’imprenditore sostenga un reale costo finalizzato alla formazione del lavoratore, e che sia quindi interessato «a poter beneficiare per un periodo di tempo minimo ritenuto congruo, del bagaglio di conoscenze acquisito dal lavoratore».

È interessante osservare come nella sentenza venga del tutto esclusa la rilevanza e/o l’utilità della formazione per il lavoratore, considerando il solo interesse dell’impresa a rientrare nei costi sostenuti per il piano formativo e la proporzionalità fra questi e la durata del patto.

Scrive infatti il giudice: «L’accordo stipulato il 19.10.2012 prevede, in sostanza, che, in caso di recesso anticipato del lavoratore, i costi del corso di formazione sostenuti dalla società vengono addebitati al dipendente per il loro mancato ammortamento, senza implicare, ai fini dell’applicazione della penale, che il lavoratore avesse materialmente tratto un vantaggio economico dal conseguimento della “specifica formazione tecnica”».

Non solo, ma si esclude anche che il lavoratore possa contestare (e quindi il giudice entrare nel merito) la congruità della spesa sostenuta per la formazione, essendo la scelta della formazione rimessa all’esclusiva volontà dell’imprenditore.

La sentenza affronta anche un altro importante aspetto: il patto di stabilità era stato sottoscritto durante il periodo di prova, circostanza che, a detta del lavoratore, lo avrebbe posto in uno stato di soggezione tale da non poterne rifiutare la sottoscrizione. Osserva però la Corte che l’unica ipotesi di nullità o annullabilità sarebbe quella del vizio del consenso, che però non può ravvisarsi per il solo fatto che rapporto non fosse stabilizzato al momento della firma.

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